A Kasper Schmeichel è dedicata la seconda puntata di #TCG, ...
Qualche giorno fa Nike Football ha lanciato un’edizione speciale (e limitata) delle Nike Premier dedicata ai più iconici modelli di Tiempo Legend visti negli ultimi dieci anni: il Tiempo Legends Premier Pack. Queste 5 colorazioni, ispirate a 5 grandi modelli del passato, sono state vendute in anteprima per 48 ore sulla Nike Football app e, da lunedì 16, sono disponibili anche su Nike.com e presso i retailer selezionati. Per promuoverle mamma Nike ha convocato cinque grandi campioni che con le Tiempo hanno scritto pagine memorabili della loro carriera: Ronaldinho, Jérôme Boateng, Gerard Piqué, Andrea Pirlo e Carlos Tevez. Da buoni Nerds nostalgici quali siamo, le loro foto sui social ci hanno ricordato i bei tempi che furono e – così – ci è venuta voglia di condividere con voi cinque passaggi indimenticabili della storia di questi atleti, cinque momenti speciali per chiunque ami il calcio e le Tiempo.
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Carlos Tevez e la grande fuga (2007)
Ha già vinto a Buenos Aires e a San Paolo del Brasile. Vincerà ancora sulle due sponde di Manchester, a Torino e poi di nuovo a casa, finalmente vicino al suo barrio, Fuerte Apache. Ma quando Carlos Tevez sbarca in Europa, estate 2006, per il Vecchio Continente è ancora un oggetto misterioso. Curriculum ok, tanti allori, ma ancora tutto da dimostrare. E deve farlo con la maglia di una squadra gloriosa ma non proprio di primo livello, all’epoca: il West Ham di Alan Pardew. Da agosto a dicembre è un pianto greco (ah, ad Atene ha vinto anche l’oro olimpico, ma il calcio – si sa – su queste è un po’ snob): zero reti, qualche panchina, un litigio con multa dopo una sostituzione, molte partite giocate da esterno sinistro. Il 6 gennaio, con il nuovo manager Curbishley inizia un’altra storia. Gli Hammers arrancano sul fondo della classifica, ma Tevez inizia a giocare in attacco. All’inizio di marzo segna una punizione delle sue contro il Tottenham, nel derby perso 4-3. Non basta, ma è uno squillo di tromba: Carlitos segna 7 reti nelle ultime 10 partite, il West Ham ne vince 7 e – all’ultima giornata – all’Old Trafford batte il Manchester United e dà il colpo di reni decisivo. Il gol, manco a dirlo, è del 32 argentino. È finita, The Great Escape (la grande fuga) è riuscita, adesso tutta l’Europa sa quanto vale Carlos Tevez. Il resto è solo una conseguenza ovvia.
In piedi per Ronaldinho (2005)
Ronaldinho è stato probabilmente il giocatore più divertente della storia. Il numero 10 che, forse, ha mostrato il bagaglio tecnico più fornito in un lasso di tempo fondamentalmente breve. Gli anni a cavallo tra il 2004 ed il 2007 sono l’apice della parabola del Gaúcho. Un quadriennio in cui il fenomeno brasiliano mette in scena un campionario di giocate difficilmente ripetibile per quantità e qualità. Estrapolare un momento, un’istantanea da questo mazzo è difficilissimo. Tuttavia se si volesse condensare il talento di Ronaldinho in un momento, allora si dovrebbe tornare indietro di dieci anni quasi esatti, 19 novembre 2005. Dodicesima giornata, il Barcellona di Rijkaard fa visita al Real Madrid al Bernabeu. La partita del fuoriclasse brasiliano inizia con un banale errore di controllo, una palla semplice che gli scivola sotto il piede e termine in rimessa laterale. È l’ingannevole preludio a quella che, con ogni probabilità, è la sua miglior partita di sempre. Il Barcellona si impone per 3-0 in casa degli odiati rivali, Dinho segna due gol: uno più bello dell’altro, parte sempre da sinistra e da lì manda in tilt i radar difensivi delle merengues. Alla seconda rete applaude persino il pubblico di fede madridista; il dribbling fulmineo ai danni di un giovanissimo Sergio Ramos e la palla in buca d’angolo fanno scattare una standing ovation da parte della tifoseria Blanca. Un applauso che è il segno della rassegnazione, il naturale complemento dell’espressione sconsolata di Casillas e della testa appoggiata al palo di Ivan Helguera. Un riconoscimento quell’applauso di resa concesso, prima d’allora, soltanto ad un altro blaugrana: un certo Maradona.
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La rivincita di Jérôme Boateng (2012-2014)
Quando termina ufficialmente la stagione calcistica 2012, Jérôme Boateng realizza che gli son scivolate dalle mani una Champions League (finale persa in casa contro il Chelsea) e un Europeo (gli italiani, in semifinale). Un uno-due da k.o. anche per un tipo come lui, un metro e 92 di altezza e muscoli, cresciuto coi fratelli nei campetti di strada di Wedding, Berlino Ovest. Jerome è intelligente e riflessivo. Sa benissimo che è uno dei migliori difensori d’Europa, con quel fisico un po’ sgraziato e quelle gambe interminabili, ma sa anche che rischia di restare eternamente nel limbo dei “buoni giocatori”. E diventa difficile non ripensare alle tre semifinali (DFB Pokal, Coppa UEFA ed Europa League) perse con l’Amburgo. O dimenticare la doccia fredda di Durban, due anni prima, quando la zuccata di Puyol nega a lui e alla giovane Germania il sogno di una finale mondiale. A conti fatti la carriera di Jérôme sembra indirizzata verso lo status di eterna, incompleta promessa. Ma lui è un ragazzino del Panke e lì, per le strade di Berlino, non si va tanto per il sottile quando c’è da reagire. Quando vincere diventa anche e soprattutto una questione di rispetto. La nuova stagione è alle porte, le maglie di Bayern Monaco e Germania lo aspettano, Jérôme si rimbocca le maniche. 6 aprile 2013, 9 mesi dopo la notte di Varsavia: Jérôme Boateng vince la sua prima Bundesliga. 25 maggio: alza la Champions League sotto il cielo di Londra. 1° giugno: anche la Coppa di Germania è sua. 13 luglio 2014, mesi dalla sconfitta con l’Italia ne son passati 24, ma Jérôme non ci pensa più. Sul prato del Maracana, con le sue bambine che gli corrono attorno e la coppa del mondo in mano, il cerchio si è chiuso. Niente male per quello spilungone, eterna promessa del Panke.
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Il riscatto di Andrea Pirlo (2011)
Nell’estate del 2011 la Juventus pesca dal calderone degli svincolati il nome di Andrea Pirlo, ma l’acquisto passa quasi inosservato. In pochi scommettono su una Vecchia Signora reduce da due settimi posti consecutivi e affidata ad un tecnico fresco di promozione dalla Serie B. Lo stesso scetticismo accompagna l’acquisto di un regista che i più definiscono bollito, dopo gli ultimi anni con Allegri. Da questo incrocio però esce un mix letale per l’intera Serie A; un mix destinato a scrivere una delle storie di riscatto sportivo più riuscite dell’epoca recente. Il bilancio complessivo è di 4 scudetti consecutivi, 2 Supercoppe Italiane, una Coppa Italia e la finale di Champions League disputata a Berlino lo scorso anno. Estrapolare un momento di questa seconda vita di Andrea Pirlo non rende merito alle stagioni che il numero 21 bresciano disputa con la maglia della Juventus. La prima però, a nostro parere, è la migliore di tutte, se non altro per l’effetto sorpresa. Sin dalla prima apparizione contro il Parma (condita da due assist), Pirlo illumina la manovra della squadra di Conte e disegna l’architettura dei primi trionfi allo Juventus Stadium. È il faro della manovra, l’uomo d’ordine ed il cervello di un centrocampo (con Vidal e Marchisio) che gira a meraviglia. Chiude il campionato con 13 assist, 3 gol, il premio di miglior giocatore della Serie A e quella tardiva fama globale che ne fa a pieno titolo un’icona del calcio moderno.
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Gerard Piqué e i soliti sospetti (2000-2015)
Basta un’occhiata alla sua pagina Wikipedia, nulla di impegnativo, per capire che la carriera di Gerard Piqué è una trama avvincente nella quale tornano sempre gli stessi personaggi. Come in una saga di successo, come in un giallo ben scritto. Lasciamo pure da parte quelli di Madrid (anche se sul fatto che si chiami Gerard Piqué Bernabeu ci sarebbe da dire), e annotiamo questi nomi: Louis Van Gaal, Manchester United, Olanda. E’ il 2000 o il 2001. Gerard, difensore delle giovanili del Barça, ha un nonno nel direttivo del club, che organizza una cena per fargli conoscere il manager della prima squadra, l’olandese Louis Van Gaal. Finisce da schifo, con LVG che brutalizza Piqué jr: “Non hai il fisico per giocare nel Barça, punto”. Lacrime, rabbia. Qualcuno evidentemente crede a Van Gaal, dato che nel luglio 2004 Gerard passa al Manchester United. Tre anni ad Old Trafford, uno in prestito a Saragozza, una premier e la sua prima Champions League, prima dell’inaspettato ritorno a casa nell’estate 2008. Vidic e Ferdinand non gli lasciavano spazio, ma con Guardiola Piqué è titolarissimo, gioca 45 gare e a fine anno vince la sua seconda Champions League. Ovviamente contro la sua ex squadra, il Manchester United. L’affiatamento con Puyol lo porta anche in nazionale, dove nel luglio 2010 alza la coppa del mondo contro l’Olanda. Ma non c’è tempo per fermarsi. Nel 2011 c’è un’altra finale di Champions da giocare, di nuovo contro la squadra che lo ha lanciato nel calcio che conta; Barcellona-Manchester United finisce 3-1. Ma Gerard non è un supereroe tutto vittorie. Più di dieci anni dopo quella cena, LVG lo fa piangere di nuovo: a Brasile 2014 la Spagna è demolita per 5-1 dall’Olanda. Novembre 2015: la Spagna è qualificata per Euro 2016 e aspetta il sorteggio dei gironi sapendo che, per una volta, gli Oranje non ci saranno. Piqué è uno dei veterani e – anche con il Barcelona – è in corsa su tutti i fronti, fra cui la Champions League. Se dovessimo scommettere su uno degli incroci nelle fasi a eliminazione diretta? Be’, Van Gaal allena il Manchester United. Fate voi.
Le cinque esclusive colorazioni del Tiempo Legends Premier pack le trovate sulla Nike App, su Nike.com e presso i migliori rivenditori autorizzati.
[A cura di @orangeket e @dece30]