L’autobiografia di Roy Keane, una vita da duro

L’autobiografia di Roy Keane, una vita da duro

di @GioPaini23

Roy Maurice Keane non è mai stato un tipo tranquillo. Una vita all’Old Trafford a giocare per i diavoli rossi del Manchester United, di cui fu capitano: 323 presenze in 12 anni. Un giocatore, prima ancora che un uomo, sempre al limite. Tutti gli appassionati di calcio hanno negli occhi il fallaccio commesso su Alf-Inge Haaland nel 2001, che ha causato, di fatto, la fine della carriera del norvegese. Ma gli episodi discussi, nella carriera di Keane, sono stati tanti. Su alcuni ha voluto fare chiarezza lui stesso nella sua autobiografia The second half, a breve in libreria, di cui è stata pubblicata un’anticipazione.

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1998, tournée estiva asiatica con il Manchester, qualche birra di troppo e rissa col portiere Peter Schmeichel (altro tipetto tranquillo). Risultato: testata in faccia e occhio nero per Schmeichel, dito girato per Keane.

 2005, l’ultimo anno di Roy con lo United. Già nel ritiro precampionato l’irlandese ha un’accesa discussione con Carlos Queiroz, vice di Ferguson, che lo rimprovera di scarsa lealtà. Sir Alex interviene, ma quando Keane attacca anche lui (“Dovresti fare di più”), il manager non è disposto a sentire oltre. La goccia che fa traboccare il vaso è un’intervista alla tv del club in cui critica in maniera feroce alcuni compagni, giudicati non all’altezza sua e del Manchester United. “Stiamo strappando il tuo contratto, Roy”. E tanti saluti.

Questo, in pratica, fu l’ultimo atto della carriera da giocatore di Roy Keane. Atleta e uomo controverso: per molti un grande, per altri (tifosi dello United e non) soltanto un giocatore sopravvalutato.



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