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È stato un campione di così grande caratura, che tutt’oggi la sua immagine appare su materiali da collezione stampati nei posti più impensati del mondo, come la figurina argentina, la card cinese o il francobollo della Repubblica del Congo. Primo interprete del ruolo di terzino d’attacco e capitano della Grande Inter di Herrera, Giacinto Facchetti è senza ombra di dubbio uno di quei giocatori che per stile e attaccamento alla maglia hanno saputo firmare pagine fondamentali del grande libro della storia del calcio mondiale. A rendergli omaggio attraverso una bella graphic novel biografica sono stati il giornalista sportivo Paolo Maggioni, lo sceneggiatore Davide Barzi e il fumettista Davide Castelluccio, autori di Giacinto Facchetti – Il rumore non fa gol, edito da BeccoGiallo e in uscita nelle librerie a partire dal 30 giugno. Carica di nostalgia per i bei tempi andati, amore per la maglia nerazzurra e l’inconfondibile autoironia, splendido meccanismo di autodifesa per un tifoso abituato a soffrire, la storia del “Cipe” è raccontata attraverso l’epopea familiare di un padre e un figlio accomunati da due passioni, l’Inter e il giornalismo.
Abbiamo intervistato Paolo Maggioni e Davide Barzi, che ci hanno raccontato la genesi del progetto.
Giacinto Facchetti a fumetti. Da dove è nata l’idea del progetto?
MAGGIONI: Facchetti ha attraversato nella sua carriera anche tante vicende della storia d’Italia, ed era bello metterle in parallelo, farle camminare su binari vicini. Un’Italia che esce dalla guerra distrutta, che poi in un momento particolarmente felice diventa il paese del boom economico e cresce in maniera esponenziale, coinvolgendo quei figli della “bassa”, che grazie al calcio arrivano sulla cima del mondo. In quegli anni Milano è una città brulicante, una metropoli che attrae i migliori talenti del mondo dell’architettura, del design, insomma la città dove realizzare i propri sogni. Quindi il calcio diventa uno specchio possibile, e Giacinto Facchetti diventa protagonista di quel momento. Poi negli anni in cui inizia il declino culturale, resta un uomo con uno schema di valori molto bello, che non viene mutato dal mondo del calcio in continua trasformazione.
Partendo dall’idea originale di Paolo, da sceneggiatore quali temi volevi che venissero fuori?
BARZI: Partivo da un soggettone che nella sostanza ricordava uno stile Diabolik più che Bonelli, sviluppo di un radio-documentario che Paolo aveva realizzato per Radio Popolare insieme al direttore Claudio Agostoni, anch’egli interista. A dire il vero il mio lavoro è stato più a togliere che ad aggiungere, e ho fatto gran parte della sceneggiatura su sua supervisione. I temi forti che mi piaceva venissero fuori sono tre, partendo dagli stralci di biografia, forse il minoritario. Poi c’era la cocente passione di due autori interisti che volevano raccontare il calcio per come è cambiato, visto da tifosi romantici. L’ultimo era il rapporto padre-figlio, idea di Paolo il cui padre è interista, e che da figlio che non ha più i genitori sulla terra e novello padre ho sentito molto.
Da dove proviene invece il titolo “Il rumore non fa goal” e che valore assume affiancato al nome di Facchetti?
MAGGIONI: È una di quelle frasi che quel maniaco della preparazione psicologica che è stato Helenio Herrera amava mettere nello spogliatoio della sua squadra per caricarla al massimo. Ho sempre amato quei cartelli un po sopra le righe, fatti di frasi secche e pensieri da guru, soprattutto quella che dice “preparazione atletica + classe + intelligenza = scudetto”. “Il rumore non fa goal” la utilizzava soprattutto nelle partite in trasferta. In genere per confondere l’avversario tendeva a cambiare i numeri di maglia, ma quando non bastava bisognava caricarsi. E allora quella frase serviva a ricordare che anche se gli altri sono centomila in uno stadio e ti cantano contro dal primo all’ultimo minuto, a fare goal devono essere gli avversari, non i tifosi, e tu devi essere ancora più forte di loro. Questo è il valore filologico di una frase molto bella, mentre poi c’è un valore narrativo riferito al rumore che si è creato attorno alla sua figura dopo la morte, ma che, come dicevo, non scalfisce la sua immagine cristallina.
Volendo raccontare un periodo storico così lungo e in modo così dettagliato, avete dovuto affrontare un grande lavoro di documentazione. Dove siete andati a scandagliare le informazioni?
BARZI: Su Facchetti esiste una bibliografia non indifferente, e poi di grande aiuto sono stati i tanti video recuperati su YouTube e l’immensa disponibilità della famiglia. Il disegno di Villa Giovanna che si vede nel momento in cui il giornalista va ad intervistare Giacinto Facchetti, è la riproduzione dalle foto realizzate in loco. Gianfelice, suo figlio, ci ha aperto gli archivi di casa e ci ha mostrato un sacco di materiale, buona parte del quale è presente sul sito giacintofacchetti.org inaugurato recentemente. Tutt’ora raccoglie figurine che vengono ancora oggi prodotte in tutto il mondo e questo mi ha fatto capire che forse non abbiamo totalmente la percezione di come sia noto a livello internazionale. Paolo, in quanto giornalista, è stato particolarmente attento sull’aderenza ai modelli dei goal e delle maglie, e ha utilizzato suo padre come cartina al tornasole per vedere se, indovinando i goal. le tavole potessero funzionare.
Il grande pregio della graphic novel è quella di raccontare un campione del calcio senza voler indugiare sulle vicende extra-sportive che spesso sono state utilizzate per infangare il suo nome. E’ un volume per calciofili, non solo per interisti…
MAGGIONI: La cosa che ho cercato di sottolineare è che Facchetti non voleva essere un simbolo, ma lo è diventato suo malgrado. Ha sempre cercato con i suoi mezzi, il suo talento e il suo pensiero di essere un esempio positivo, perché gli esempi si possono accettare, mentre i simboli sono destinati a dividere. Morì il 4 settembre 2006, quando era appena iniziato il primo campionato post-Calciopoli. Quando facciamo dire ai protagonisti “chissà cosa dirà Facchetti”, lui è già malato e non è più presente sulla scena. Questo paradossalmente lo allontana ancora di più da qualsiasi reazione volgare o violenta in cui magari sarebbe potuto essere coinvolto in un impeto di rabbia, restando un esempio di etica.
Per trasferire in tavole a fumetti la storia del “Cipe”, vi siete affidati al talento di Davide Castelluccio. Colpiscono molto anche le tavole di apertura dei diversi capitoli, realizzate da autori differenti. Da cosa nasce l’idea?
BARZI: L’idea iniziale era di giocare sul numero undici, quindi lavorare su undici capitoli e scegliere undici disegnatori per le aperture dei capitoli. Otto fumettisti su undici sono interisti, e i criteri con cui sono stati scelti variano. Ad esempio la presenza di Paolo Castaldi nasce dal fatto che per la scena della monetina successa a Napoli nel ’68 in occasione di Italia-Russia, semifinale di Coppa Europa, Paolo volesse proprio quel fumettista tifoso del Napoli, che per “BeccoGiallo” aveva realizzato la graphic su Maradona, o quella di Alberto Locatelli è dovuta al suo grande talento nella rielaborazione fotografica, e quindi perfetto per la riproduzione delle figurine dell’epoca.
Lungo il volume torna, in modo ricorrente, la cantilena “Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso”. Quali sono le caratteristiche che fece grande quell’Inter?
MAGGIONI: Un mito della letteratura come Eduardo Galeano diceva che più delle altre questa formazione lasciò il segno nel mondo per tante ragioni. L’Inter fu la prima grande squadra ad andare in Sud America ripetutamente e soprattutto aveva come allenatore una grande leggenda, un uomo dei due mondi. In quella formazione ci sta dentro il passaporto di un’epoca di Milano e poi rappresenta un passaggio di consegne tra padre e figlio, qualcosa che lega due diverse generazioni. A meno che tu non sia un maniaco dei numeri è impossibile ricordarsi quanti goal ha segnato di testa Aldo Serena l’anno dello scudetto, ma di sicuro ti ricordi quando, in quel derby che hai vinto grazie ad un cross dalla destra di Bergomi, eri in campagna e tuo padre ti ha sollevato e ti ha fatto volteggiare per aria.
Tanta Inter, ma nel volume è presente in maniera importante l’altra maglia per cui Giacinto Facchetti si è sempre battuto come un leone, quella azzurra della Nazionale…
BARZI: Grazie alla suddivisione in undici capitoli, si voleva cercare di selezionare e approfondire alcuni aspetti della sua vita e della sua carriera, quindi la Nazionale più che sparsa qua e la è concentrata in alcuni capitoli. Devo dire che per numero di presenze e per quello che ha rappresentato, la Nazionale non è stata meno importante dell’Inter nella sua storia. L’ha veramente sempre sentita come una seconda maglia e quindi inserirla all’interno della narrazione era una cosa imprescindibile, a partire da Italia-Germania 4-3, che per qualcuno resta la partita più bella della storia del calcio.