Shakhtar Donetsk, fra la tregua e la Champions League

Shakhtar Donetsk, fra la tregua e la Champions League

di @FFiumi

Siamo a metà febbraio 2014, pausa invernale del campionato ucraino. I giocatori dello Shakhtar Donetsk si stanno allenando, con la Dynamo Kiev nel mirino: la squadra più brasiliana dell’Est Europa, già stabilmente al comando del campionato, si prepara alla sfida di inizio marzo contro i rivali di sempre, che negli ultimi anni hanno potuto ingoiare solo bocconi amari. Il dominio incontrastato dei “Minatori” di Donetsk è infatti pressoché totale, con anche alcune affermazioni che oltrepassano di gran lunga i confini nazionali, come la Coppa UEFA 2009, vinta a Istanbul.

Mircea Lucescu siede su quella panchina dal maggio del 2004: la sua squadra gioca un calcio elettrizzante, i suoi talenti fanno gola a praticamente tutte le big del continente, ma non c’è fretta di venderli e, soprattutto di svenderli, visto che il presidente Akhmetov è uno degli uomini più ricchi del mondo. La Donbass Arena, poi, è un fortino pressoché inespugnabile, i tifosi sugli spalti creano un clima infernale. Questo perché c’è un’identificazione pressoché totale tra lo Shakhtar e la sua gente. Donetsk e il Donbass sono uno dei maggiori centri minerari del mondo. Lì il carbone viene estratto ininterrottamente dall’inizio del ‘700 e quindi ci sono concrete possibilità che chi nasce e cresce da quelle parti finisca per lavorare in quel campo. Non sorprende, quindi, che il primo nome della squadra fosse Stakhanovets, in onore di Aleksei Stakhanov, l’operaio russo che nel 1935, durante il secondo piano quinquennale, estrasse qualcosa come centodue tonnellate di carbone in meno di sei ore, diventando strumento di propaganda del regime e, ovviamente, eroe nazionale. Ma guardate bene lo stemma dello Shakhtar: vi sono orgogliosamente rappresentati un martello e un piccone, a evidente sutura del legame viscerale con la comunità dell’intera regione. Se quindi quasi certo di portare a casa il quinto campionato di fila, lo Shakhtar non è però più in corsa per l’Europa League, poiché eliminato dal Viktoria Plzen nel ritorno dei trentaduesimi di finale, la sera del 22 febbraio.

Quello stesso giorno, però, l’attenzione degli ucraini è rivolta a tutt’altro. Inutile specificare fin da subito che la sfida in casa della Dynamo dovrà essere posticipata. L’ormai nota rivoluzione di piazza Maidan è cominciata, il sangue ha cominciato a scorrere. Probabile quindi che il 22 febbraio in pochi stiano guardando l’Europa League, perché il presidente Yanukovich è appena stato deposto da una votazione parlamentare. Il nuovo governo non viene ovviamente riconosciuto dalla Russia, che osserva compiaciuta il nascere di diverse agitazioni nelle provincie filo-russe del paese, come nel Donbass. Chi per l’Ucraina, chi per la Russia, i fratelli e connazionali di sempre diventano i nemici da far fuori, la situazione precipita rapidamente. Oggi i separatisti stanno ancora combattendo contro l’esercito ucraino.

Un anno dopo, c’è un’altra pausa invernale. I Minatori, nel frattempo laureatisi campioni per la quinta stagione di fila, sono secondi in classifica dietro la Dynamo. Alla ripresa, la battaglia per il titolo sarà più viva che mai. Il pallone ha continuato a rotolare, malgrado la situazione critica del paese. Solo che lo Shakhtar non ha potuto festeggiare di fronte al suo pubblico. La squadra, infatti, per motivi di sicurezza si allena a Kiev e non gioca più a Donetsk, bensì all’Arena di Lviv, a 1200 chilometri da casa. La dirigenza dello Shakhtar ci aveva visto giusto, perché nel frattempo la Donbass Arena è stata bombardata e danneggiata due volte. Un anno e cinquemila e cinquecento morti dopo, Angela Merkel e Francois Hollande sono arrivati a un accordo con Vladimir Putin e Petro Poroshenko – il nuovo presidente ucraino – per il “cessate il fuoco” che dovrebbe entrare in vigore dalla mezzanotte di domenica.

E intanto manca meno di una settimana al calcio d’inizio degli ottavi di finale di Champions League. Lo Shakhtar affronterà il Bayern Monaco di Guardiola, in una partita dall’altissimo tasso tecnico. Ovviamente il teatro della sfida sarà, e chissà per quanto ancora, lo stadio di Lviv. L’accordo tra le parti dovrebbe sancire l’inizio di un percorso per un difficile, forse impossibile, ritorno alla normalità. Certo è che, finché ancora si sparerà, la gente del Donbass dovrà continuare a vivere tremendi incubi quotidiani, oltre che a fare a meno della sua amata squadra, ovvero sia di un gran pezzo della sua identità ormai perduta.



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