L’anomalo tempismo di David de Gea

L’anomalo tempismo di David de Gea

di @deCe30

Nel calcio, come nella vita, spesso è tutta una questione di tempo. La carriera di David de Gea è tutta costruita sulla dialettica tra la capacità di bruciare le tappe e la necessità di saper rallentare, porre un freno al suo talento e pazientare. Ha avuto bisogno di tempo, da ragazzo, per capire che la sua strada era a protezione di una porta e non in mezzo al campo, dove esordisce con La Escuela de Footbal Atletico Casarrubuelos, un club giovanile di Madrid affiliato alla Cantera Colchoneros. I suoi primi anni sono infatti da attaccante di Futbol Sala (il nostro calcetto, ndr). Un tempo, quello trascorso in mezzo al campo, tornato poi utile per affinare le qualità tecniche, le sue capacità da portiere totale.

david de gea

David de Gea da giovanissimo (Fila in basso, secondo da sinistra) con caschetto biondo, ma ancora senza guanti.

È solo da quando indossa i guantoni da portiere ed inizia a seguire le orme del padre – José de Gea, storico portiere del Getafe – che la personale battaglia di David contro il tempo ha inizio. La prima spinta alla sua carriera la dà una bugia, quella di Juan Luis Martin, all’epoca suo allenatore che per mettere fretta all’Atletico Madrid, piombato timidamente sul de Gea 13enne, mente agli scout colchoneros dichiarando che il ragazzo sia ad un passo dalla firma con il Rayo Vallecano. Pochi giorni dopo Diego Diaz Garrido, scout della squadra biancorossa, per bruciare una falsa concorrenza, lo mette sotto contratto facendolo entrare nella Cantera dell’Atletico.
Che nella trama della carriera di de Gea ci sia qualcosa di non usuale appare chiaro sin dalle circostanze che lo portano all’esordio. Nell’estate del 2009, dopo aver firmato un contratto da professionista con i Colchoneros e da titolare del Atletico Madrid B in Segunda Division, viene contattato dal Numancia che vorrebbe prelevarlo in prestito. De Gea rifiuta il trasferimento e viene messo fuori squadra, costretto ad allenarsi da solo lo scova Abel Resino, allora tecnico dell’Atletico che lo invita ad allenarsi con la prima squadra, della quale diviene terzo portiere.

Esordisce prima in Champions League che in campionato, il 30 settembre 2009, con Asenjo impegnato nel mondiale Under 20, il titolare di giornata, Roberto, si infortunia dopo soli 27 minuti. Si ritrova catapultato tra i pali dei Colchoneros nella cornice del Do Dragao. Il Porto vince per 2-0, de Gea non ha colpe particolari sui gol, non si mette in mostra per parate di rilievo, ma il suo nome è sdoganato; il tappo della popolarità saltato. Tre giorni dopo colleziona la prima presenza anche in Liga. Al Vicente Calderon contro il Real Zaragoza, prima commette il fallo da rigore della rete ospite, poi mantiene il pareggio salvando su Babic il possibile gol del 2-1. L’esordio in campionato è l’emblema del primo de Gea: troppo talento per rimanere nell’ombra, troppo acerbo per prendersi le luci della ribalta.

Bruciare le tappe, ma con pazienza. Il portiere madrileno deve aspettare l’arrivo di Quique Sanchez Flores prima di guadagnare i galloni da titolare. Emilio Alvarez Bianco, suo nuovo allenatore dei portieri ci mette un solo giorno per capire l’antifona.

“Il primo giorno di allenamento, Quique mi ha chiesto informazioni sui portieri. Le mie parole furono, “Il migliore dei tre è El Nino”.

David de Gea con la sua prima maglia (n. 43) dell'Atletico Madrid

David de Gea con la sua prima maglia (n. 43) dell’Atletico Madrid

A metà stagione diviene titolare e convince tutti. Fisico segaligno, ma una capacità tentacolare nell’arpionare i palloni più impensabili. De Gea non erige un muro davanti alla propria porta, non ha la struttura fisica di altri portieri; non riesce a coprire fisicamente tutto lo specchio. Tutt’altro, la porta da lui difesa sembra invitante, piena di possibilità: l’attaccante ha l’imbarazzo della scelta, può scegliere dove mettere il pallone ed indirizzarlo. Solo quando ha fatto la sua decisione entra in gioco de Gea. Tempo ed esperienza gli insegneranno l’arte della posizione, la capacità di anticipare il pericolo diventando un po’ più completo e riflessivo. Il primo de Gea, invece, è istinto primordiale, pura reattività. È la sua capacità di arrivare lì dove c’è lo spiraglio di luce a rendere impressionante lo spagnolo. Non anticipa mai la mossa, non riduce i pericoli. Per questo è un portiere estremamente spettacolare, ma non ancora pienamente efficace. In due anni vince, da protagonista, Europa League e Supercoppa Europea (parando un rigore all’interista Milito). Per lui si iniziano ad aprire le porte della nazionale, Casillas ne parla benissimo, Del Bosque lo definisce il “futuro” della selezione iberica: solo una questione di tempo, il presente si chiama Manchester United.  Lo sponsor principale di David de Gea è Sir Alex Ferguson, che fa carte false per averlo.

Dopo aver vinto l’Europeo Under 21 sconfiggendo, in finale, l’Italia di Devis Mangia, i Red Devils sborsano la cifra record di 18 milioni di sterline (cifra più alta mai spesa per un portiere Oltremanica). Ed è qui  che la corsa di de Gea conosce un nuovo rallentamento, momentaneo, ma pur necessario. La parabola dello spagnolo al Manchester United segue alla perfezione il cliché della storia di redenzione. L’eroe, costretto ad espiare il peccato originale di una valutazione ritenuta eccessiva, deve superare lo scetticismo generale, passando attraverso momenti difficili, prima dell’inevitabile assunzione nel Pantheon degli eroi Red Devils. Ancor prima dei classici problemi d’ambientamento, dovuti alle diverse abitudini e condizioni climatiche, è la lingua della Premier ad essere indigesta. I primi mesi di de Gea sono un incubo di fisicità, di mischie in area e difficoltà sui palloni alti.

Si inizia a dubitare del suo talento già all’esordio, quando su un tiro, tutt’altro che irresistibile, di Shane Long la palla gli sfila sotto al corpo insaccandosi in rete. In realtà, l’occasione per criticarlo viene servita su un piatto d’argento ad ogni calcio d’angolo o punizione degli avversari: sfruttando il mismatch fisico tra il portiere spagnolo e la gran parte dei saltatori d’Oltremanica, gli allenatori avversari intasano l’area piccola dell’Old Trafford, spingono i propri attaccanti a cercare il contatto fisico con il numero 1, provano in tutti i modi a intimorirlo.

david de gea

“Benvenuto in Premier, David”

Sul sottofondo di questi dubbi de Gea disputa i primi mesi all’ombra dell’Old Trafford. I fans dei Red Devils questionano sulle sue qualità, s’interrogano sulla sua struttura fisica, dimenticando che solo pochi mesi prima salutavano con una standing ovation la leggenda Edwin van der Sar, tutto fuorché un mostro di fisicità. A parate fenomenali, David de Gea alterna pericolosi passaggi a vuoto, l’andamento incostante lo porta addirittura a perdere il posto in favore di Andeers Lindegaard. In questa fase lo staff tecnico lo sottopone ad un intenso regime di allenamento. Eric Steele, preparatore dei portieri dello United, lo costringe a doppie sedute di allenamento per irrobustirlo, lavorando su forza, resistenza, senza andare ad intaccare la sua innata agilità.

Ma così come, ogni volta che il ragazzo sembra bruciare troppo le tappe, qualcosa arriva a frenarlo, quando il suo percorso si sta inabissando arriva la spinta. Il concetto di tempismo include un misto di capacità innate, predisposizione mentale ed anche fortuna. Guidato dalla predestinazione del suo talento, de Gea è lì, pronto a prendersi la svolta di un’intera carriera sfruttando la fortuna di un infortunio a Lindegaard. Lo fa così, all’ultimo minuto.

La parata su Juan Mata è lo sliding doors della sua avventura al Manchester. Da quel momento, nonostante degli inevitabili passaggi a vuoto, David de Gea si è guadagnato la piena fiducia dell’intero ambiente. Premiato per tre volte, negli ultimi quattro anni, come miglior portiere della Premier League; primo giocatore ad esser eletto per tre anni di fila come Player of the Year dai supporters dei Red Devils: riconoscimento che la dice lunga, sia sulle qualità di de Gea, sia sul momento storico dello United.

Lo stesso Mata lo definisce “calmo, ai limiti dell’incoscienza” ed evidenzia quella che probabilmente è la sua più grande qualità, la capacità di non lasciarsi influenzare dagli errori, sfruttarli piuttosto come occasioni per imparare. In maniera matematica, fredda, quasi robotica: “Ha una grande fiducia in sè stesso. Non si lascia influenzare da nulla. Quando commette un errore sa di averlo commesso, ma non si abbatte. Lo usa per far sì che quello stesso sbaglio non si ripeta una seconda volta. È una grande qualità”.

Una freddezza che gli ha permesso di archiviare il mancato passaggio al Real Madrid, sfumato in chiusura di mercato la scorsa estate, e riprendersi con assoluta normalità la porta dello United. Lo stesso temperamento glaciale con il quale ha esordito in una competizione ufficiale per nazionali a poche ore da un presunto scandalo sessuale. A cinque anni di distanza dalle prime dichiarazioni di stima di Del Bosque, nel momento più giusto per la sua carriera: senza bruciare le tappe, aggiungendo un nuovo tassello alla “gentile transizione” di cui il selezionatore spagnolo aveva parlato all’indomani del fallimento brasiliano. Nuovo titolare, ma con la numero 13 sulle spalle (perché anche i numeri hanno la loro religiosa importanza). Arrivato lì dove lo si attendeva da tempo, al posto del monumento Iker Casillas.
Il suo tempismo non è quello del predestinato, non una linea retta di traguardi e successi da archiviare come mere formalità, ma piuttosto una montagna russa di accelerazioni e frenate per arrivare solo all’ultimo secondo al suo destino. L’anomalo tempismo di de Gea si rispecchia nel suo modo di parare. Uno stile fuori asse, sbilanciato. Non arriva quando e come lo aspetteresti, ci arriva secondo le sue regole.

“Ciao, sono David de Gea e questo tiro lo paro con i piedi”

Spesso all’ultimo secondo, quando l’urlo del gol è già in gola, pronto a esplodere. Non è ancora il portiere più affidabile del mondo, ma in fondo questo non deve preoccuparlo più di tanto, se c’è una cosa che la carriera di David de Gea ci ha insegnato è che ha tutto il tempo per diventarlo.

Durante questi europei francesi, David de Gea veste guanti Adidas Ace Pro GK nella colorazione Blue/White/Semi Solar slime e scarpe Adidas Ace 16 primeknit.