Adiós Raúl, il ritiro della leggenda silenziosa

Adiós Raúl, il ritiro della leggenda silenziosa

di @fraquarti

“È stata una decisione molto difficile da prendere, però credo che dopo 21 stagioni sia venuto il momento giusto di lasciare”. Così, con la semplicità che ne ha da sempre caratterizzato ogni gesto e ogni parola, Raúl González Blanco ha annunciato qualche giorno fa all’emittente americana One World Sports il suo ritiro dal calcio alla fine di questa stagione, dopo che avrà giocato i playoff NASL con i suoi New York Cosmos.

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Una carriera, o meglio una vita, fatta di classe, gol e giocate geniali, condite da record sia a livello personale, sia di squadra. Sei volte campione di Spagna e tre volte campione d’Europa (1998, 2000 e 2002) con il Real Madrid, due volte campione del mondo di club sempre con le Merengues, secondo miglior marcatore della storia madridista con 323 gol (appena sorpassato da Cristiano Ronaldo), capocannoniere del campionato spagnolo nel 1999 e nel 2001 e inoltre uno dei pochissimi giocatori della storia con oltre 1000 presenze in carriera (finora 1059 per l’esattezza).

Eppure non è stato tutto scontato per Raúl González Blanco, figlio di un elettricista tifosissimo dell’Atletico Madrid. Da bambino iniziò a giocare proprio nelle giovanili della squadra amata dal padre, i Colchoneros, salvo poi dover passare al Real Madrid dopo la decisione dell’allora presidente biancorosso Jesús Gil di chiudere il settore giovanile per problemi economici. Le Merengues – a onor del vero –  avevano già messo gli occhi sulla piccola stella madrilena, attratti dall’impressionante rendimento nettamente sopra la media: 146 gol in 67 partite.

Ma il Real Madrid è un capitolo a parte della vita di Raúl. O forse sarebbe giusto dire che la vita calcistica di Raúl González Blanco è un grande capitolo della storia dei Galacticos. Perchè con la camiseta blanca numero 7 è diventato una leggenda vivente, quasi una figura mistica, fonte di ispirazione per chi ancora oggi inizia a giocare a calcio da quelle parti con il sogno di poter seguire le sue orme o avvicinarsi, almeno impercettibilmente, a ciò che lui ha realizzato. Impossibile dimenticarsi delle 77 reti nelle competizioni europee per club (terzo marcatore di sempre, il primo degli umani prima della calata sulla Terra di Messi e Cristiano), della sfida accesa a suon di gol con Pippo Inzaghi nel 2010, ultima stagione a Madrid. O dello storico doblete messo a segno fra 2000 e 2002 quando diventò (contro Valencia e Bayer Leverkusen) il primo giocatore della storia a segnare in due differenti finali di Champions League.

“Raúl se ha inventado solo. Yo no soy su descubridor porque Raúl se descubre él solo. Él se inventó a sí mismo, es de otro planeta. Cuando Raúl toca la pelota el mundo se detiene. Su único rival es y será la historia”. Jorge Valdano

Aveva ragione Valdano, che pronunciò queste parole nel 2007. Infatti se vogliamo trovare un difetto alla carriera del madridista, possiamo farlo attraverso la voce trofei vinti con la nazionale spagnola: nessuno. Ma non lo faremo, perché anche in nazionale in fondo Raúl González Blanco ha lasciato il segno (è ora il secondo miglior realizzatore della Roja con 44 gol, dietro a David Villa, 59) e ha contribuito a gettare i semi raccolti dalla eccezionale generazione del 2008-2012. Pallone d’Oro a parte – e qui sarebbe inutile dilungarsi – il rammarico più grande, per noi amanti del calcio, è quello di non averlo visto giocare in nazionale con IniestaXavi, David Silva. Non poter sapere che contributo, anche in termini di carisma, avrebbe potuto nella loro scalata all’Europa e al mondo.

Con il ritiro di Raúl González Blanco il calcio perde un pezzo importante della sua storia, che continua a brillare nella sala trofei del Santiago Bernabeu ma, ancora di più, negli occhi dei bambini che iniziano a dare calci ad un pallone e sognano di arrivare in cima al mondo. Adiós Raúl, gracias por todo.



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