I 50 anni di Marco Van Basten

I 50 anni di Marco Van Basten

Di @MatteoMoschella

“Van Basten è il simbolo del mio paese in termini calcistici: bello, fenomenale e incompiuto” Mi confessa Frank, ventiquattrenne di Groninga, Olanda.

Sugli aspetti estetici non si discute, chiunque può spendere minuti, ore e giorni davanti a Youtube a scegliere la sua rete preferita del numero 12. La “vulgata” prescrive quella semirovesciata sul secondo palo il 25 giugno 1988, in finale contro una Russia che si chiamava URSS, il secondo goal nell’unica finale vittoriosa nella storia dell’Olanda, l’Europeo della Germania dell’Ovest.

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E’ proprio da quel goal, dall’orologio che segna le 16.44 a Monaco di Baviera, il punto più alto della carriera in arancione di Marco, che inizia la sua storia più bella per noi italiani, la sua storia rossonera.

1987: il ventitreenne di Utrecht sbarca a Milano. Viene da cinque anni di Ajax ed è un predestinato: subentrato a Cruijff all’esordio (con goal ovviamente) colleziona reti e trofei in Eredivisie: tre campionati, tre coppe di lega, una Coppa delle Coppe ed è quattro volte capocannoniere nei Lancieri. Vince anche a Milano, esordio con goal e scudetto nel primo anno, ma lui quel Tricolore lo vive poco: un infortunio alla caviglia lo costringe a star fuori per gran parte del campionato. Si rifarà, abbondantemente.

1995: Otto anni non passano in fretta al Milan: vince tutto, scrive pagine dell’enciclopedia del calcio, arrivano Palloni d’Oro (tre come Platini e Cruijff, metà di quelli vinti dal Milan), due Coppe Campioni, due Supercoppe europee, due titoli Continentali, quattro Campionati di Serie A (di cui tre di fila fra il 1991 e il 1994), “colleziona” record e allenatori – Sacchi e Capello, invenzioni del Milan di Berlusconi molto ben riuscite. Non è solo ovviamente, la triade è completata da Ruud Gullit e Frank Rijkaard, altri due “tulipani” formidabili.

Marco Van Basten - ACMilan. 14/8/88. Credit: Colorsport

Tuttavia, un altro protagonista ritorna nella parabola del fenomeno olandese, ed è la sua caviglia: è un giocatore estremamente tecnico – del resto l’attributo inizia a essere quello caratteristico degli olandesi dal “totalvoetball” di Michels negli anni 70, con cui Marco era cresciuto – ma troppo alto (quasi un metro e novanta) perché il fisico bilanci tutto quello sforzo sulle gambe. Altissimo e velocissimo non sono due superlativi che si accompagnano bene nel calcio, i difensori lo sanno bene. La maledetta caviglia, che aveva avvisato il nove rossonero nel suo primo anno milanese, lo torna a trovare spesso, costringendolo a quattro operazioni, a saltare i Mondiali di USA ‘94 (gli ultimi della carriera) e ad abbandonare il professionismo da calciatore, di fatto avvenuto nel 1993, con l’ultima apparizione in Serie A.

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2014: Marco Van Basten dà le dimissioni come allenatore dell’AZ Alkmaar. Il problema non è la squadra, il problema è la tensione, così alta da causargli problemi fisici, palpitazioni. La mente ritorna al 2009, quando aveva dato le dimissioni da allenatore dell’Ajax, e come motivazione aveva addotto il suo “non essere abbastanza bravo per l’Ajax”. La sua prima grande squadra lo aveva ospitato come assistant coach nei settori giovanili, poi – a sorpresa – quattro anni alla guida della Nazionale Oranje, esperienza conclusa con gli Europei 2008, dove il “treno olandese” aveva spazzato gli avversari nel girone – tra cui l’Italia – per poi essere fermato agli ottavi dalla Russia del connazionale Hiddink.

Il 31 ottobre 2014 Van Basten ha compiuto 50 anni: le interviste mostrano il solito volto di sempre, la figurina cambia per i capelli grigi. Motivando l’abbandono del ruolo di coach all’AZ ha detto che abbiamo una vita sola, che merita di essere bella.

Vedo Frank, il ragazzo di Groninga girarsi e correre verso il campetto dove stiamo giocando, con la sua maglietta rossonera, il 9 squadrato senza nome sopra, e penso che, forse, per “Il cigno di Utrecht” questi primi 50 sono stati bellissimi. L’augurio è che lo siano anche i prossimi.



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